Previdenza complementare: un quadro generale
Con il decreto legislativo n.252 del 2005, il legislatore ha voluto dare un ruolo sempre più importante alle soluzioni di previdenza complementare, istituendo il meccanismo del silenzio-assenso per quanto riguarda la scelta di destinazione da parte del dipendente del suo trattamento di fine rapporto.
Che cos’è la previdenza complementare
La previdenza complementare è, come suggerisce il nome, una forma di previdenza che si pone in ottica complementare alla previdenza obbligatoria, la quale viene versata dal datore di lavoro in caso di lavoratore dipendente o direttamente dal contribuente tramite versamenti INPS nel caso di libero professionista o lavoratore autonomo, e che va a formare il capitale che sarà necessario all’erogazione della pensione una volta terminata la vita lavorativa.
Se un tempo la previdenza obbligatoria era sufficiente a garantire un tenore di vita adeguato al pensionato, oggi a causa di diversi fattori essa non è più sufficiente da sola. Le cause sono molteplici, tra cui la principale è l’invecchiamento della popolazione, che comporta un numero sempre più crescente di anziani, i quali non sono più supportati da una grande base di giovani e adulti in età lavorativa, che vanno via via riducendosi col tempo.
Perche è così importante oggi
Come possiamo osservare nella seguente immagine, se negli anni ‘70 la popolazione anziana era relativamente piccola rispetto alla popolazione in età lavorativa, nel 2060, seguendo il trend demografico attuale, ci sarà un enorme numero di persone in età avanzata, con una netta riduzione di giovani e adulti.
(Dati:ISTAT)
È inevitabile quindi che lo Stato abbia dovuto prendere misure restrittive, poiché il sistema pensionistico deve trovarsi in equilibrio, ovvero il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve essere in pareggio o con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate). Mantenere gli stessi livelli di pensioni avrebbe causato un peso ancora più gravoso sul PIL e conseguentemente sul debito pubblico.
Se da un lato lo Stato ha deciso di ridurre le pensioni future dei lavoratori, dall’altro lato ha agevolato l’adesione alle forme di previdenza complementare, stabilendo per i lavoratori che decidono di accedervi un trattamento fiscale agevolato.
Quali solo le opzioni percorribili dal lavoratore
Per il lavoratore che decidesse quindi di aderire ad una forma di previdenza complementare, si aprono principalmente tre strade:
- Fondi pensione chiusi o negoziali
- Fondi pensione aperti
- Piani individuali pensionistici
Tutte e tre le tipologie di prodotti prevedono due opzioni per l’aderente, ovvero la contribuzione con versamenti volontari e il versamento del proprio TFR nel fondo.
Specialmente nel caso di versamento del TFR, la scelta di conferirlo in una forma di previdenza complementare comporta un vantaggio fiscale importante: infatti, se il dipendente decide di lasciarlo in azienda, esso verrà liquidato al termine del rapporto lavorativo, tassato alla media ponderata dell’aliquota IRPEF degli ultimi 5 anni di contributi, quindi in una forchetta che va dal minimo del 23% per i redditi più bassi ad un massimo del 43% per i redditi più elevati. Se invece si decide di aderire a previdenza complementare, la tassazione a scadenza andrà da un massimo del 15% per i primi 15 anni di adesione, fino ad un minimo del 9%, ottenuto scalando lo 0,30% di aliquota dal 16° al 30° anno di adesione. Per questa ragione è molto importante aderire il prima possibile per iniziare ad accumulare anzianità contributiva e godere del massimo beneficio fiscale al momento del pensionamento.
Come si sono comportati invece i fondi pensione dal punto di vista del rendimento? Se decidiamo di lasciare il TFR in azienda, esso ogni anno sarà sottoposto ad una rivalutazione per legge pari al 75% della differenza in percentuale tra l’indice dei prezzi al consumo del mese di dicembre dell’anno precedente e quello del mese in cui si effettua la rivalutazione, alla quale viene aggiunto l’1,5% annuo. In breve, il TFR è rivalutato all’ 1,5% più i 3/4 del tasso di inflazione. Se invece avessimo aderito ad un fondo, avremmo ottenuto mediamente i seguenti rendimenti:
È evidente come la scelta di affidarsi alla previdenza complementare abbia pagato molto di più rispetto a lasciare il TFR in azienda, poiché i fondi sono in grado di cogliere le opportunità dei mercati finanziari nel lungo periodo.
Come scegliere la strategia più adatta
Per scegliere la strategia più adatta, bisogna innanzitutto capire quali sono gli obiettivi previdenziali, ovvero con quanto vorremmo andare in pensione, per poi analizzare i fattori quali età, propensione al rischio e rendimento atteso.
Se ad esempio prendiamo in considerazione un giovane che ha appena iniziato a lavorare, la strategia migliore sarà quella di aderire quanto prima ad un fondo, posizionandosi su linee per lo più azionarie, in modo da avere un enorme quantitativo di tempo per cogliere opportunità di mercato ed avere rendimenti elevati.
Se invece analizziamo il caso di un lavoratore al quale mancano pochi anni alla pensione, la strategia migliore sarà quella di scegliere linee obbligazionarie o bilanciate, in modo da consolidare il capitale già accantonato e proteggersi da eventuali turbolenze sui mercati finanziari.
È ovviamente consigliata l’opzione di rivolgersi ad un professionista che sia in grado di ascoltare le esigenze del cliente, in modo da disegnare la strategia su misura per raggiungere gli obiettivi prefissati nel migliore dei modi.
Laureato in Amministrazione, Finanza Aziendale e Controllo presso l’Università Bocconi di Milano. Consulente Patrimoniale dell’area Nord Italia.